Nicolas Bouvier | 1982 | Il pesce scorpione
Abbiamo lasciato l’autore al termine de “La polvere del mondo” che avvicinandosi alla frontiera afghana del Khyber Pass afferma che “Nei giorni dei venti dell’est, ben prima di raggiungere la cima, il viaggiatore riceve a tratti l’odore maturo e bruciato del continente indiano…” Dopo averla odorata, l’India l’ha attraversata per approdare o meglio naufragare nello Sri Lanka, “uno smeraldo al collo del subcontinente”, dove comincia il racconto.
Dalle parole dell’autore, la decisione sembra casuale: “per due anni la continuità continentale mi era servita da elemento di raccordo. […] se non fosse stato per le interdizioni della politica avrei proseguito verso Est attraverso la Birmania e il sud della Cina. […] Stasera ero su un’isola. […] Un’isola è come un dito posato su labbra invisibili, e dopo Ulisse sappiamo che il tempo non vi scorre come altrove.”
Un romanzo onirico e allucinato, dove l’autore malato e stremato dal “sole che vince sempre”, riflette sulla propria condizione di viaggiatore e scrittore, “convocando fantasmi e ombre” in un progressivo delirio fino alla decisione finale.
Il romanzo può essere visto come una delle tante divagazioni rispetto alla rotta hippie: come afferma l’autore “nella geografia come nella vita, al vagabondo imprudente capita di trovarsi in una zona di silenzio, in una di quelle calme piatte…” dove fermarsi a riflettere, “guardare il nomade che avevo cessato di essere e che sognavo di ridiventare.”
“Oltre la fine della strada, qualcosa deve pur restare. Qualcosa di straordinario, un vero Koh-i-Noor certamente, per essere così protetto e inaccessibile. Forse, quella gioia originaria che abbiamo conosciuto una volta, che poi abbiamo perduto e ritrovato in certi attimi della nostra esistenza, ma sempre cercato a tentoni nella mosca cieca della nostra vita.”