Letteratura


banner_letteratura

Quali libri raccontano l’Hippie Trail?
I racconti di chi c’era sono spesso frammentati e la maggior parte degli autori ricorre alla tecnica del flashback o al viaggio di ritorno a distanza di anni.

Come i viaggiatori sulla rotta, in libreria troviamo un variegato numero di scrittori di nazionalità diverse: Australia, Canada, Stati Uniti, Brasile, Inghilterra, Svizzera, Francia e Italia.

Cominciamo dall’Australia, per un doveroso omaggio a Tony e Maureen Wheeler, i fondatori delle guide Lonely Planet, che con la loro autobiografia Un giorno viaggiando (2006) e l’enigmatica sigla “3K” (Kabul, Kathmandu e Kuta) hanno rappresentato l’inizio delle mie ricerche.
Il viaggio verso l’Australia viene descritto in maniera dissacrante da Peter Moore nel romanzo La strada sbagliata (2003), “come una lunga, tranquilla odissea in posti che la gente aveva visto solo su National Geographic”.

Ci spostiamo in Canada per salire a bordo del Magic Bus (2006) di Rory MacLean: sono fermo con la lettura e la traduzione al primo capitolo ma, come scrive l’autore alla partenza da Istanbul, “La mia meraviglia per quel primo passo ancora mi commuove…”.

Attraversiamo il confine con gli Stati Uniti con i viaggi in treno di Paul Theroux dove “l’Asia fu fuori dal finestrino”: il percorso originario Bazar Express (1975) ed il rivisitato Un treno fantasma verso la Stella dell’Est (2008).
Il viaggio di Billy Hayes si ferma ad Istanbul in un carcere a pochi passi dal Pudding Shop da cui cercare di evadere con una Fuga di mezzanotte (1977).

Scendiamo in Brasile con Hippie (2018), l’autobiografia romanzata di Paulo Coelho, dove il suo alter ego Paulo e Karla si incontrano ad Amsterdam nel 1970 e decidono di raggiungere il Nepal in autobus.

Andiamo nel Vecchio Continente, partendo dall’Inghilterra con l’apripista Robert Byron che scrisse La via per l’Oxiana (1937), il romanzo capostipite della letteratura di viaggio “per quella prima visione di un mondo più vasto”.

Il viaggio di due donne, dalla Svizzera all’Afghanistan, è raccontato da Ella Maillart in La via crudele (1947) e da Annemarie Schwarzenbach in La via per Kabul (2000). La fuga verso Oriente da un Europa sull’orlo della seconda guerra mondiale è segnata da struggenti descrizioni di paesaggi incantati e monumenti fiabeschi.
Sempre dalla Svizzera ci arriva la struggente prosa di Nicolas Bouvier con La polvere del mondo (1963) – in viaggio a bordo di una Topolino da Ginevra fino alla frontiera afghana del Khyber Pass – ed Il pesce scorpione (1982) – una divagazione fuori rotta nello Sri Lanka – perché “Un’isola è come un dito posato su labbra invisibili, e dopo Ulisse sappiamo che il tempo non vi scorre come altrove.”

Dalla Francia viene mostrato il lato oscuro degli hippie con lo sconvolgente Flash di Charles Duchaussois (1972), la storia di un junkie in una Kathmandu supermarket della droga, dove alcuni hippie si spingono fino all’autodistruzione alle pendici dell’Himalaya.

Lascio per ultimi gli italiani, così numerosi da doverli suddividere in due gruppi.
Nel primo gruppo troviamo gli autori che ripercorrono i “tradizionali” viaggi lungo la rotta hippie: Piero Verni e Giorgio Cerquetti nel visionario La Valigia delle Indie (1976), Luigi Guidi Buffarini con l’ironico La lunga strada per Kathmandu (2011), Mario Paluan con la ricerca dell’altrove in Verso Kabul (2012), Maurizio Lipparini con il poetico Oriente ultimo viaggio (2014) ed Emanuele Giordana con il reportage Viaggio all’Eden (2017).
Nel secondo gruppo troviamo le storie di tre personaggi, sempre in bilico tra speranza e tragedia, che hanno un forte legame con la rotta hippie: Carlo Grimaldi con l’autobiografico Un lungo flash (1984), Raffaele Favero con l’epistolare Rafiullah (2006) e Fabio Geda con Nel mare ci sono i coccodrilli (2010), la storia vera del ragazzino profugo Enaiat, che ritroviamo nel seguito Storia di un figlio (2020).



Torna su

Pubblicità